Caio Mario Garrubba ed il fotogiornalismo a Napoli ed in Italia

di Luca Sorbo *

“Dalla mia esperienza – non cerco, non parto con una precisa finalità, una cosa già che mi prefiggo, certamente so che vado a fare delle fotografie. In un certo senso vado per trovare. Che cosa? Quando vado non so cosa troverò. Indubbiamente un’immagine”
Questo piccolo testo autografo è stato pubblicato nel catalogo della mostra che si tenuta al PAN di Napoli, a cura di Stefano Mirabella ed Emiliano Guidi, nel mese di maggio per celebrare un grande reporter nato a Napoli nel 1923, purtroppo da molti dimenticato, Caio Mario Garrubba.

La sua vicenda umana e professionale è di grande interesse sia perché rivela un autore di notevole originalità sia perché evidenzia un aspetto della storia della fotografia che viene spesso ignorato e cioè il ruolo dei fotografi napoletani nel fotogiornalismo italiano. Oltre Garrubba sono da segnalare Antonio e Nicola Sansone ed Ermanno Rea, un gruppo di fotografi che ebbe una consapevolezza della forza del linguaggio fotografico che pochi ebbero all’epoca. La formazione culturale di tutti questi autori fu un elemento costituente ed unificante e la presenza degli autori napoletani diede un apporto di originalità che è necessario sottolineare.

Caio Mario Garrubba, figlio di una nobile calabrese e di un chirurgo napoletano, porta con sé le tracce di questa sua doppia esperienza di vita. Introverso e diffidente, trova nella realtà napoletana quella energia di vita e di cultura che nutriranno tutti i suoi interessi. Il suo regno era la strada, questo era il luogo dove poteva scoprire la vera natura dell’umanità che abitava un luogo. Amava dire: “Io, anche quando vado in un posto nuovo mi lascio portare dai miei piedi, vado nei mercati, nelle strade affollate, dove sta la gente. Non amo i lavori su commissione.”

I suoi reportage dell’Est Europa ed in particolare della Russia sono un’indagine visiva che ci rivela l’animo di quei popoli in anni drammatici. Sicuramente il legame con la moglie polacca, Alla Fomientov, lo aiutò a comprendere la mentalità delle persone che incrociava per strada. Proprio la moglie ha donato tutto il suo archivio all’Istituto LUCE che lo sta digitalizzando al fine di valorizzare la sua opera. Una prima mostra, dal titolo LONTANO, fu organizzata al MAXXI di Roma da Gabriele D’Autilia ed Emiliano Guidi e la seconda è questa del PAN.

Speriamo che questo sia solo l’inizio della riscoperta di questa grande personalità della cultura visiva italiana e speriamo che sia anche l’occasione per valutare nel modo più corretto quale è stato l’apporto di Napoli nella storia della fotografia e del fotogiornalismo italiano.

(*) esperto in storia e tecnica della fotografia
già docente Accademia di Belle Arti

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