
di Roberta Guida
Appuntamento ormai immancabile quello con il Campania Teatro Festival che arricchisce l’offerta culturale di Napoli con momenti artistici di particolare spessore. I più avvezzi della rassegna ricorderanno senz’altro, o meglio aspetteranno, con entusiasmo la partecipazione di Davide Sacco, giovane drammaturgo partenopeo, che nell’edizione 2024 riporta in scena ‘Il medico dei maiali‘, testo vincitore del Premio Nuove Sensibilità̀ 2022. In questa occasione dirige Luca Bizzarri e Francesco Montanari.
Lo spettacolo
Tutto accade in un albergo in Scozia dove il re d’Inghilterra muore improvvisamente a causa di un infarto. I consiglieri di palazzo si apprestano a convocare il medico di corte, ma il fango dovuto a un forte temporale e il gay pride che impazza in città, rendono impraticabili i percorsi per raggiungere il re. Viene, dunque, chiamato l’unico medico di campagna nelle prossimità, un veterinario specializzato nella cura dei maiali.
Superate le prime reciproche perplessità, viene chiesto al veterinario di accertare il decesso del re, nel mentre sopraggiunge il principe ereditario, un individuo stupido, alcolizzato, e per l’occasione vestito a carnevale da militare nazista.
E’ il momento del discorso alla Nazione del nuovo re, di consacrare il passaggio della corona reale dalla testa del padre a quella del figlio, e i consiglieri si danno un gran da fare per ripristinare l’immagine dell’erede al trono, reduce da una serata di bagordi.
In questa concitazione il principe, colpito dalla sagacia e l’humor del veterinario, chiede di rimanere da solo con lui, chiedendogli suggerimenti sul contenuto del discorso con cui da lì a poco si presenterà come nuovo re d’Inghilterra al mondo intero.
Il medico può giocarsi la sua occasione e tentare di innescare il cambiamento che stravolgerebbe le sorti della monarchia, se solo il principe ascoltasse i suoi consigli e gli rivela, per persuaderlo, la verità sulla morte del padre, vittima in realtà di avvelenamento per mano, presumibilmente, dei propri consiglieri.
Allontanatosi per ultimare i preparativi e indossare l’alta uniforme, il principe medita sulle parole del veterinario, immagina un’Inghilterra senza più monarchia e se stesso come capostipite di una nuova era in cui non sarebbe mai più principe, giammai re. Il medico dei maiali crede di aver convinto il principe, di averlo distolto dall’assecondare i propositi malevoli dei consiglieri di palazzo, di coloro che da sempre decidono le sorti della Nazione, preparandolo a quello che inevitabilmente potrebbe essere un giorno il suo analogo epilogo.
Ma questa non è una favola romantica, non è la storia di un dissennato che sceglie di capovolgere il gioco, ma è uno spaccato della natura umana, raccontata con trovate insolite, incontri fortuiti, e ruoli con accenti grotteschi, e per questo vivi e sensibili. E’ una storia, dunque, in cui verosimilmente l’uomo assomiglia molto di più ad un maiale che a un re.
Davide Sacco racconta la sua drammaturgia
‘Il medico dei maiali’ porta la firma di Davide Sacco, drammaturgo audace e sensibile, già noto agli affezionati del Campania Teatro Festival per ‘Il sesto potere’, e ‘Napoleone. Morte di Dio’. Una penna che il pubblico ormai conosce bene e apprezza spettacolo dopo spettacolo, e che evidenzia una struttura drammaturgica autentica e coraggiosa.
‘Il medico dei maiali’ ritorna in scena, e sarà in tour nei teatri d’Italia. Una storia sui generis quella che ci racconti, ma qual è stata la sua ispirazione?
In realtà, non c’è una vera e propria ispirazione. Ritengo che i miei testi, assecondando il mio metodo, nascano attraverso una serie di suggestioni. Io utilizzo una sorta di ‘gioco’: quando ritengo di aver buttato giù tutto il testo, allora è giunto il momento di dargli un titolo.
Sia in ‘Napoleone. Morte di un Dio’, che ne ‘Il medico dei maiali’, è affrontato il rapporto padre-figlio. Nel primo caso come centro della narrazione, nel secondo come strumento per ribaltare le vicende storiche. Mi chiedo se sia un’analisi su questo tipo di relazione o un mezzo narrativo per raccontare qualcos’altro, come la società e i suoi costumi odierni…
Io tento di scrivere a ‘tempo determinato’, di parlare della mia generazione, un po’ tutti i miei testi, ma in particolare quelli che ha citato, raccontano una crisi generazionale caratterizzata dall’assenza dei padri, intesa come valori, che per noi sono venuti meno. Essere addestrati ad una vita che non potremo vivere, essere abituati a un’incostanza che non ci permette di costruire nulla, questa fragilità che ci appartiene, che ci abita, sono questi i temi fondanti le mie storie.
Ne ‘Il medico dei maiali’ i dialoghi sono ricchi di testo, di parole, carichi di ritmo. Questo consente una piena immersione in una storia, benché sia atipica. La potremmo definire come una sua personale impostazione drammaturgica?
A me piace vivamente il teatro di parola. La performatività, l’asciuttezza, credo che appartengano a quella parte di drammaturgia moderna nelle quale mancano le parole per annaffiare il terreno del teatro. A me piace che gli attori parlino, che narrino una storia che possa essere compresa su più livelli, come accadeva coi maestri di un tempo. Non che mi paragoni a loro, ma questa è al contempo la mia ambizione e la mia visione, perché credo che questo sia essenzialmente il teatro: una storia da raccontare. Ancor di più in questi due testi, i personaggi parlano molto e credo che avere molto da dire rappresenti una sfida per gli attori. A mio avviso, prima di rappresentare silenzi che ‘dicono’ mille cose, è importante avere mille cose da dire. Oggi più che mai che si sono moltiplicati gli stimoli narrativi con i social, ad esempio, o le serie tv, è importante rammentare al pubblico la bellezza dell’addizione, più che l’intensità della sottrazione, come avviene in testi ridotti ai minimi termini e che si concentrano su altri aspetti espressivi. Il ‘dire’, espressamente, serba una posizione da prendere e una responsabilità da assumersi, e non tutti sono disposti a questo.
Da giovane autore che percezione ha della condizione del teatro a Napoli oggi?
Questa rassegna, in particolare, è un appuntamento che vivo con particolare affetto, ma devo dire che oltre a questa occasione del Campania Teatro Festival, Napoli ha grandissimi riferimenti teatrali e programmazioni di spessore. Ciò di cui sento la mancanza è di un salotto culturale, un luogo dove gli artisti possono incontrarsi, confrontarsi, dibattere. Questo era uno degli elementi centrali della cultura partenopea. Non era il teatro il luogo di produzione dell’arte, ma Napoli era il grande salotto di incontro, almeno a partire dal ‘700 , dove avveniva un intenso confronto tra drammaturghi e registi. Il paradosso è che oggi a Napoli questo confronto manca, non ci sono vere occasioni di dibattito per costruire la nuova poetica, insieme. Se guardiamo le rassegne stagionali a Napoli vedremo che ospitano artisti internazionali, compagnie di professionisti e spettacoli di ogni genere, da competere con i teatri di tutta Europa. Ma ciò di cui avrebbe davvero bisogno è un luogo di incontro, dove nasce la sfida, vero nutrimento e stimolo della cultura.
(foto di Emiliano Luciani per gentile concessione del Campania Teatro Festival)