Una scoperta scientifica fondamentale per la comprensione dei Campi Flegrei arriva da uno studio pubblicato sulla rivista AGU Advances e condotto da un team multidisciplinare coordinato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), con il contributo dell’Université Grenoble Alpes e dell’Università di Bologna. La ricerca ha individuato nella crosta terrestre un “strato debole” situato tra i 3 e i 4 chilometri di profondità, che potrebbe essere la chiave per spiegare il fenomeno del bradisismo, ovvero il lento sollevamento e abbassamento del suolo che caratterizza quest’area vulcanica unica al mondo.
Secondo gli autori, tra cui la ricercatrice Lucia Pappalardo, questa zona fragile si trova in corrispondenza di una transizione geologica intorno ai 2,7 km, dove la roccia cambia composizione e diventa più porosa e permeabile. Questa debolezza naturale nella struttura crostale agisce come una sorta di “tappo parziale”, intrappolando fluidi magmatici che, accumulandosi, aumentano la pressione interna e provocano deformazioni del terreno e micro-sismicità. Le immagini tridimensionali ad alta risoluzione del sottosuolo, ottenute grazie a sofisticate tecniche geofisiche e all’analisi di campioni rocciosi prelevati da un pozzo geotermico di 3 km, hanno permesso di osservare dettagli inediti su come funziona il “plumbing system” del vulcano.
Lo strato indebolito non solo funge da barriera temporanea alla risalita del magma, ma può anche deviarne il percorso e portare a episodi di “eruzioni abortite”, in cui il magma si raffredda prima di raggiungere la superficie. Tuttavia, come osservato nell’eruzione del 1538 che portò alla formazione del Monte Nuovo, se il magma risale rapidamente o in grandi volumi, può attraversare questa zona critica e giungere in superficie, dando luogo a un’eruzione vera e propria. Il coautore dello studio Francesco Maccaferri ha sottolineato che nel corso di epoche passate numerose intrusioni magmatiche si sono fermate proprio in questa fascia, indebolendola progressivamente. Gianmarco Buono, anch’egli coautore, precisa che lo strato potrebbe anche agevolare future risalite magmatiche, rendendolo un elemento chiave nel sistema di sorveglianza vulcanica.
Il progetto di ricerca fa parte dell’iniziativa LOVE-CF (https://progetti.ingv.it/en/love-cf), finanziata dall’INGV, e rappresenta un tassello fondamentale per la comprensione del comportamento interno della caldera flegrea, una delle più pericolose e sorvegliate d’Europa. Nonostante lo studio non modifichi nell’immediato le previsioni a breve termine, come ha ribadito Mauro Antonio Di Vito, direttore dell’Osservatorio Vesuviano (INGV-OV), i risultati contribuiscono ad affinare i modelli predittivi e ad aumentare la capacità di risposta in caso di segnali pre-eruttivi.
Il valore scientifico della pubblicazione è stato riconosciuto anche da EOS.org, che ha selezionato l’articolo tra i suoi Editor’s Highlights per l’importanza dei contenuti: https://eos.org/editor-highlights/deflected-dikes-perturb-the-plumbing-system.
Questo passo avanti nella geofisica dei Campi Flegrei dimostra ancora una volta quanto sia essenziale un monitoraggio continuo e multidisciplinare per mitigare i rischi legati alla presenza di una delle caldere più attive del pianeta, in un’area densamente popolata come quella flegrea. Comprendere lo stato della crosta terrestre e i suoi “punti deboli” può fare la differenza tra prevenzione e catastrofe.
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Struttura Crostale e Attività Sismica ai Campi Flegrei (2000–2025)
Il modello geologico evidenzia tre domini crostali distinti, una zona debole profondamente intrusa da dicchi magmatici e una concentrazione di terremoti (M > 3) tra 2 e 3 km di profondità, in corrispondenza di quest’ultima.
(fonte: INGV)