“Cara Cecilia, la tua follia visionaria ha un senso, è una follia che vorrei RUBARTI. Vogliamo parlare d’arte? Si la TUA fotografia è arte, cioè emozione.”
Questa dedica di Peppe Alario, fotografo ed attento osservatore della fotografia dagli anni Settanta del Novecento al Duemila, ci presenta una protagonista appassionata e discreta della fotografia napoletana, Cecilia Battimelli.
Problemi agli occhi nell’infanzia e l’esser stata due mesi bendata hanno sicuramente raffinato la sua sensibilità visiva e la sua immaginazione. Forse proprio questo dover lottare per vedere bene deve essere stata una delle cause delle sue riflessioni sulla visione che l’hanno sempre accompagnata. Cecilia vuol dire cieca e paradossalmente la cosa che meglio le riesce è forse il guardare, l’osservare.
Studia architettura nei primi anni Settanta e vive tutte le tensioni della sua epoca. Si appassiona alla fotografia e comincia ad indagarne le potenzialità tecniche ed espressive. Segue le lezioni di Riccardo Dalisi e tutte le sue sperimentazioni nei quartieri di periferia di Napoli. Lavora fino al 2002 come scenografa in RAI. Fotografa e segue la realizzazione dei primi film di Antonio Capuano. Per quattro anni consecutivi, dal 2006 al 2009, ha preso parte alla manifestazione “In viaggio col taccuino” (mostre e pubblicazioni), ideata da Simona Capecchi, all’interno di Galassia Gutenberg, presentando suoi taccuini di viaggio con disegni e foto-collages.
La incontro nella sua bella casa al Petraio da cui si può ammirare un meraviglioso panorama del golfo di Napoli. Siamo vicinissimi alla Certosa di San Martino ed è uno dei luoghi magici della città in cui, pur essendo in pieno centro, si è sospesi nella solitudine tra cielo e mare. In questo luogo Cecilia riesce a sentirsi completamente libera ed ogni giorno vi è una nuova possibilità di sperimentazione. Ogni oggetto presente in casa parla della sua vita, c’è quel disordine pieno di fascino e di equilibrio che solo le case degli artisti riescono ad avere. Tanti i libri conservati, di letteratura, di arte e naturalmente di fotografia. Mi mostra le sue sperimentazioni: i fotomontaggi, i collage ed i disegni. Mi mostra scatole piene di libri fotografici autoprodotti in modo artigianale. Percorsi visivi dove sperimenta la capacità della fotografia di creare risonanze ed emozioni. Un tema che l’ha coinvolta intimamente è quello dei migranti. L’affondamento nella notte di Natale del 1996 di un barcone al largo di Porto Palo che provocò la morte di 283 persone fu un evento che la spinse a realizzare la prima mostra-installazione sul tema intitolata MARE NOSTRO presentata a Castel dell‘Ovo, Napoli nel 2004 per ricordare le vittime del naufragio. Ogni anno ha continuato a produrre un’ opera (libretti, collages) su questo tema che ha poi riunito in una sintesi nella mostra Infin che il mar fu sovra noi richiuso presentata nel 2017 al centro sociale Santa Fede Liberata ,Napoli e nel 2019 alla fondazione Lelio e Lisli Basso a Roma.
Ha frequentato molto Parigi dove ha scoperto nel tempo la grande fotografia e dove nel 1994 ha esposto un lavoro su Napoli alla libreria-galleria La chambre claire.
Ecco come viene presentata da Giovanni Fiorentino, all’interno del catalogo del Museo MADRE ‘O VERO del 2010, dedicato ad alcuni dei più rappresentativi fotografi campani del dopoguerra:
“A Napoli arriva nel 1953. Prima architetto e poi scenografa, infine fotografa, incontrollabilità del mezzo diventa il suo stile di vita. In bilico tra i personaggi letterari e cinematografici di Amelie e Smoke ha disseminato nella sua vita pubblica e privata, i frammenti di un discorso amoroso con la città, impossibile da restituire per intero. Lavora con la fotografia tradizionale, rifugge il digitale, stampa ogni immagine, taglia, cuce, incolla, gioca ai bordi, con le cornici, pieno per vuoto e vuoto per pieno. Secondo la possibilità infinita di forme e misure, riproducibile ed unico. Protagonista della ricerca – la sua vita – è la relazione con Napoli, l’abitabilità del contro storico di questa città, la tracciabilità di un percorso, se possibile, ancora vivibile e traducibile in immagine : fotomontaggi, alterazioni in camera oscura, testi immagine, disegni fotografici, casualità e scorniciamenti ibridanti, tutto il repertorio della fotografia del Novecento viene messo in gioco, tra Man Ray e Rauschemberg, anche nella dimensione dell’infinitamente piccolo, e privato, dei suoi taccuini fotografici.”
Una delle sue ricerche visive più interessanti è Proiezioni, confluita poi in un catalogo edito da Electa nel 1994. Lanfranco Colombo nell’introduzione scrive: “Il discorso di Cecilia Battimelli parte tuttavia da un assunto diverso, che non è quello di colorare e reinterpretare il corpo dell’amica su cui proietta le sue immagini (e in effetti il corpo di Valentina non è quasi mai ridotto a puro schermo), ma quello di creare delle nuove suggestioni visive che nascono dalla somma – tanto inquietante, quanto intelligente – tra le immagini proiettate ed un corpo femminile reale che vi si inserisce”.
Da non dimenticare il grande impegno profuso da Cecilia in collaborazione con altri fotografi ed in particolare con Vera Maone per la promozione della fotografia a Napoli dal 1997 al 2008. Una serie di incontri di cultura fotografica che sono stati fondamentali per molti per appassionarsi alla scrittura di luce.
Cecilia Battimelli è sicuramente una protagonista della fotografia italiana e questo breve articolo vuole essere solo un piccolo contributo per ricordare la sua opera ed il suo impegno.
(*) esperto in storia e tecnica della fotografia
già docente Accademia di Belle Arti