
di Flavio Pagano *
A Dugenta, in una posizione strategica e a mezz'ora da Napoli, fulcro di un territorio che fra l'Alta Velocità in arrivo e l'annuncio della prossima apertura del parco tematico più grande d'Europa, è sulla soglia di una vera e propria rivoluzione economica, sta per riaprire i battenti la Sagra del Cinghiale. Una festa del palato e dell'allegria che ci terrà compagnia fino all'autunno, precisamente dal 19 agosto al 31 ottobre.
L'Italia, si sa, è terra di campanili. Di eccellenze spesso puntiformi, che riguardano minime frazioni del territorio. Ma la vera sfida, oggi, è coniugare la tradizione con l'innovazione. E dunque la domanda è: può una sagra, per sua natura popolare, circoscritta e tradizionale, tipica espressione di quei campanili, rappresentare anche un'eccellenza dell'artigianato gastronomico, che sia in linea con le esigenze e le aspettative del consumatore contemporaneo? La risposta, ve lo diciamo subito, non è semplicemente “sì”, ma addirittura è “più che sì”: perché non solo una sagra “può” essere un'eccellenza, ma, se vuole imporsi all'attenzione del pubblico, “deve” esserlo!
Viviamo in un'epoca dove alla globalizzazione si contrappone la riscoperta identitaria, l'orgoglio delle radici. L'epoca del cosiddetto turismo esperienziale. Il pubblico è curioso. Voglioso soprattutto di scoprire cose vere, genuine. Il concetto del turismo simulatorio, quello da villaggio turistico della prima ora, per intenderci, fatto di spettacoli pseudo-folkloristico-etnici (pensate ai tour operator che proponevano, e tutt'ora a volte propongono, visite a villaggi africani meno autentici della nave dei pirati di Edenlandia…), è completamente superato.
La gente esige autenticità, lealtà e qualità: ed è proprio questa la ricetta della Sagra del Cinghiale. È questo che le consente di costituire da cinquant'anni un appuntamento acclamato, capace di animare l'estate dugentese con interminabili tavolate, dove affluiscono commensali dall'intera regione e persino da quelle vicine. Il tutto immerso in un'atmosfera che ha il fascino spensierato della goliardia contadina di una volta, e la qualità e l'organizzazione di un moderno appuntamento culinario.
La lunghissima avventura di quest'evento è indissolubilmente legata a una antica famiglia di imprenditori, i Di Caprio, che hanno fatto della produzione di carne di alta qualità la loro ”mission” e che sono sempre in prima linea per la valorizzazione del territorio. La loro produzione di carni, cosa rarissima al Sud, include la cacciagione. Se volete assaporare un fagiano, un prosciutto di cervo o preparare un ragù di lepre, qui trovate sempre una soluzione, e sempre coniugando standard attuali col saper fare del passato.
A spiegarci la filosofia dell'azienda, anima della Sagra, è Mariano Di Caprio, che l'ha ereditata dal padre, Amedeo, e che la gestisce insieme ai fratelli Francesco e Fabio.
“Alla Sagra abbiamo una media di 4.000 visitatori per finesettimana. Dopo una breve pausa, riprenderemo il 19 agosto e proseguiremo fino alla fine di ottobre. Sono passati anni, ci sono cresciuto in questo mondo, ma la passione è tale che mi sembra sempre di avere appena cominciato…”
Regina della Sagra, dove è possibile gustare molte altre specialità, è la salsiccia di cinghiale. E Mariano ci spiega: “La salsiccia vive, nella sua apparente semplicità, di un equilibro delicato. Prima di tutto occorre partire da carne di altissima qualità. La nostra struttura di macellazione è nel Cilento, in un'area naturale incontaminata, fra Petina, Felitto e Padula. Anche questo è un particolare da tenere in grande considerazione. La qualità della vita degli animali, rispettarli e amarli per quello che ci danno, sono cose importanti.”
Ma come si fa la salsiccia perfetta? “Maneggiamo, lavoriamo, produciamo una materia viva”, continua Mariano, autentico maestro delle carni: “Il risultato del nostro operato, finirà sulle tavole delle persone, nelle loro pance. È un compito di grande responsabilità, che va svolto con la piena consapevolezza del patto di fiducia che si instaura tacitamente fra artigiano gastronomico e cliente, e alla base del quale c'è un ingrediente imprescindibile: la voglia di migliorarsi sempre. È stato mio padre a trasmettermi questa passione e, personalmente, quando sono al lavoro, vorrei che il tempo non passasse mai, perché adoro quello che faccio. Per preparare le salsicce, noi lasciamo riposare la carne, dopo averla sminuzzata, per almeno 7 ore. Esperienza e ispirazione ci guidano nell'aggiunta di sale e pepe, di vino o finocchietto. E naturalmente impastiamo a mano, perché per noi la tradizione è sacra.”
Tradizione e innovazione, attenzione per il dettaglio, passione. Una lezione, quella dei Di Caprio e del successo di una sagra antica come la Sagra del Cinghiale di Dugenta, che tanti al Sud dovrebbero far propria. Abbiamo risorse per primeggiare in molti campi, ma troppo spesso l'inerzia, il fatalismo, la sfiducia cronica, prendono il sopravvento sull'iniziativa.
Ne “Il Gattopardo”, Giuseppe Tomasi di Lampedusa sintetizza l'immobilismo del Mezzogiorno in una celebre frase: “Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi”. Ma noi aggiungiamo: se vogliamo che tutto cambi, bisogna semplicemente che cominciamo a darci da fare. Come la famiglia Di Caprio, emblema di un nuovo Sud, intraprendente, volitivo e orgogliosamente consapevole delle proprie straordinarie risorse e delle proprie illimitate possibilità di crescita.
(*) scrittore
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