
di Luca Sorbo
“Questo dello scarabocchiare è una mania antica che mi porto appresso da sempre. Ai miei collaboratori, allo scenografo, al costumista, al truccatore soprattutto, cerco di dare delle idee meno approssimative di quelle che riuscirei a dare esprimendomi a voce, quindi fornendo già un’esemplificazione grafica del trucco che desidero su quel volto che ho scelto, o del costume alla costumista, o un’idea scenografica dell’ambiente, un tentativo di bozzetto. E un modo per cominciare a vedere il film in faccia, per cominciare ad abitare in maniera fisica con i personaggi, cominciare a mettermeli intorno. Fino a quando il film non comincia, la preparazione non entra in una fase di autentica preparazione, è soltanto un’immaginazione, una serie di immagini, di volti, di situazioni, di colori che abitano nella sfera dell’immaginativo, quindi estremamente fluttuante, eterica, impalpabile, imprendibile. Un modo per cominciare a vederlo materializzato è un pochino questo qui di usare pennarelli, colori…” (Federico Fellini, «Dizionario intimo per parole e immagini» a cura di Daniela Barbiani).
Queste parole del grande regista riminese sottolineano l’importanza che il disegno ha avuto nella realizzazione dei suoi film. Sono la traccia più vera della sua fantasia visionario, sono la materia prima del suo intimo immaginare.
La nipote, Daniela Barbiani, che è anche la curatrice della mostra conserva circa 130 di questi scarabocchi, come amava definirli il divino regista.




“Quelli in cui Fellini disegnava erano momenti intimi e divertenti”, racconta Daniela Barbiani: “Durante la preparazione di un film ci ritrovavamo spesso da soli nel suo studio. Con i pennarelli in mano cambiava faccia. Quando disegnava rideva sempre sotto i baffi”. A volte il disegno serviva a dar forma alle idee e a comunicare con i collaboratori: “uno strumento fondamentale per spiegare un film prima che iniziasse” Oppure era un gioco, l’espressione di un’energia creativa e liberatoria. D’altra parte, “Fellini aveva iniziato la sua vita artistica disegnando, e il disegno se l’era portato dietro per tutta la vita. Disegnava continuamente, a prescindere dal cinema. Se era al ristorante con gli amici e raccontava una storiella, automaticamente iniziava a disegnarla sui tovaglioli, sulla tovaglia, magari aggiungendo un fumetto… Era il suo modo di giocare, di divertirsi. Non ti stancavi mai di guardarlo e ascoltarlo”.
Sono un corpus di 29 lavori su carta (a matita, penna, pennarello) per la prima volta in mostra a Napoli dopo essere state esposte in alcuni dei più importanti musei al mondo.
“I disegni esposti Al Blu di Prussia, ci confida Mario Pellegrino, ritraggono una serie di personaggi che dialogano con il proprio alter-ego sessuale, protagonisti di giochi di parole e significato, tra doppi sensi e metafore. Una serie di personaggi che mettono a nudo i propri genitali, omini impauriti davanti a donne prosperose. I protagonisti di questa collezione sono gli organi sessuali stessi, sempre enormi, esagerati, sproporzionati, genitali che sovrastano l’uomo.”
A dominare la scena sono le donne: imponenti e procaci che si palesano attraenti e minacciose. Sono il centro dei suoi sogni, delle sue fantasie, dei suoi ricordi, delle sue paure.
“Sono immagini paradossali, dove l’eros e il desiderio sono inseparabili dall’ironia. Donne prorompenti all’eccesso, con grandi seni e sederi, in compagnia di omini minuscoli, che soccombono di fronte a tanta abbondanza. Per Fellini la donna è sempre stata una figura estremamente importante, la considerava superiore all’uomo, che da parte sua era intimidito dalle forme, ma anche dalla personalità femminile”
La mostra inaugurata il 18 aprile nello storico e prestigioso spazio espositivo di via Filangieri, gestito da Giuseppe Mannajuolo e Mario Pellegrino, sarà visitabile fino al 31 ottobre.
In mostra ci sono anche sei fotografie realizzate da Patrizia Mannajuolo sul sei della Citta delle Donne che ritraggono il maestro durante le riprese, Sono immagini con pregevoli valori formali e che danno il senso del vivere il set da parte di Federico Fellini. Emerge la dimensione circense del suo lavorare e la grande fantasia ed armonia che era capace di creare.
Daniela Barbiani. Nipote di Federico Fellini, è stata sua assistente alla regia dal 1980 al 1993 negli ultimi suoi quattro film, E la nave va, Ginger e Fred, Intervista, La voce della luna. E’ autrice di testi e articoli per pubblicazioni, riviste e cataloghi, fra i quali Cahiers du Cinéma, Quoi de neuf, Fellini Amacord, Rivista di studi felliniani, I libri di casa mia, La biblioteca di Federico Fellini, Fellinicittà.
Nel 2011 ha pubblicato per Baldini&Castoldi il romanzo Infedele. È proprietaria e curatrice di una collezione di 130 disegni che Fellini le ha regalato e che sono stati esposti in importanti musei e festival di cinema in tutto il mondo.
Patrizia Mannajuolo. Napoletana, si dedica alla fotografia sin da giovanissima, a Roma, frequentando lo studio di Vittorugo Contino e collaborando con registi, attori e produttori come Roberto Rossellini e il figlio Renzo, Liliana Cavani, Alberto Sordi, Monica Vitti, Augusto Caminito e Federico Fellini. L’opportunità di fotografare il fuori scena del film “La città delle donne” fu per lei l’occasione di conoscere e mettere a fuoco un Fellini capace di grande empatia, intransigente e tenero al tempo stesso, visionario e geniale.