di Luca Sorbo *
“È forse oggi il miglior fotogiornalista italiano. Ha l‘istinto del fatto, la passione del racconto, la capacità di far passare attraverso le immagini, con forza di sintesi e rigore visivo, l’essenziale delle cose.”
Queste parole di Ferdinando Scianna sono una presentazione molto efficace di Francesco Cito che molti considerano uno dei maggiori fotogiornalisti di guerra a livello internazionale. Il suo fotografare è sempre una costruzione di una relazione con il soggetto ritratto finalizzato alla realizzazione di una storia. L’uso del 18 mm è uno degli espedienti tecnici che utilizza per immergersi nelle realtà a cui è interessato. La curiosità innata, l’empatia naturale sono state le doti che gli hanno consentito di realizzare immagini straordinarie. Le sue inquadrature, pur utilizzando un obiettivo con un ampio angolo di campo, sono sempre pulite ed essenziali, sempre capaci di attirare la retina dello spettatore sul centro di interesse prescelto. Robert Capa ammoniva dicendo che se la foto non era bella era perché non si era abbastanza vicino, Francesco è sempre dentro l’evento con la mente con il cuore e con il suo occhio infallibile.
Si appassiona alla fotografia fin da giovanissimo leggendo le avventure di Walter Bonatti sul settimanale Epoca. Decide di andare a Londra per studiare alla Royal Art College, ma una volta raggiunta la capitale inglese dovette fare i conti con la realtà, poiché il corso era molto costoso e non poteva permetterselo. Comincia a lavorare in un ristorante finché non incontra il direttore di un giornale musicale che dopo aver visionato delle sue immagini amatoriali gli offre una possibilità di lavoro. In seguito avvia anche una collaborazione con il Sunday Times. Nel 1972 il photo editor del giornale, Michael Rent, gli parla di una notizia che aveva letto relativa ad uno sciopero dei contrabbandieri a Napoli. Gli chiede allora se è disposto a tornare in Italia per fare un reportage su questo, per gli inglesi, incomprensibile aspetto della città. Cito ritorna e cerca un contatto con i contrabbandieri che, però, non avevano alcun interesse a essere ripresi durante la loro attività illegale. Francesco riesce a convincerli e lì segue per circa un mese. Ottiene la loro fiducia e realizza le foto che cercava e finalmente pubblica il reportage sul Sunday Times. Le immagini hanno un successo internazionale e gli danno la possibilità di avviare nuove collaborazioni.
Nel 1980 è tra i primi giornalisti a raggiungere l’Afghanistan che era stato appena invaso dai russi. Entra in contatto con i guerrieri e li segue nei loro spostamenti. Le immagini vengono pubblicati sui principali giornali. La caratteristica costante del lavoro di Cito è sempre che la foto deve essere funzionale alla storia e dare un’informazione essenziale per comprendere l’evento.
Realizza anche un reportage sulla camorra a Napoli seguendo la polizia durante i vari interventi. Anche questo lavoro ha una notevole successo.
Ammette di aver avuto spesso paura, ma afferma che la paura è solo un momento e che deve essere superata per concentrarsi al massimo sul lavoro da realizzare.
Durante questi suoi frequenti ritorni in città decide di dedicarsi ai matrimoni, un fenomeno di costume che nella città partenopea ha una grande importanza in cui accadono eventi curiosi e particolari. La foto di cerimonia ha essa stessa un preciso cerimoniale che scandisce i momenti salienti del matrimonio ed è capace di rivelare aspetti di costume e di vita sociale di grande interesse. Segue alcuni dei fotografi più noti della città e realizza una sorta di backstage che poi confluirà nel libro Neapolitan Wedding edito dalla galleria Corsini di Brescia. Nel 1995 presenta queste foto insieme ad un reportage sulla Palestina al World Press Photo. Le sue aspettative sono tutte per il lavoro che aveva realizzato in Medio Oriente a cui aveva dedicato molti anni della sua attività. Inaspettatamente vince il premio con le immagini sui matrimoni.
Ha sempre amato essere un freelance, non potrebbe lavorare sotto contratto ed essere condizionato da un datore di lavoro. Ha il piacere di decidere ogni volta cosa fare e come farlo.
Nel 1996 partecipa nuovamente al World Press Photo con il reportage sulla Palestina e presenta anche una sua ricerca sul Palio di Siena. Anche questa volta viene trascurato il reportage sul Medio Oriente e vince il primo premio con le immagini del Palio. Profondamente deluso dai meccanismi del premio fotografico decide di non partecipare più.
È profondamente critico verso alcuni giovani fotogiornalisti che cercano solo immagini sensazionalistiche per vincere qualche premio. La profonda crisi dell’editoria giornalistica, purtroppo, sta riducendo la possibilità per tutti di lavorare a storie complesse e quindi molti vanno alla ricerca di situazioni estreme solo per partecipare ai premi. Considera un modello da seguire Eugene Smith ed è meno legato alla visione di Cartier Bresson. Oggi vede sempre più rara la volontà di costruire racconti fotografici complessi a favore di immagini di forte impatto visivo che possono essere veicolate facilmente sulle photogallery e sui social.
È anche profondamente deluso dalla città di Napoli che non gli ha mai dato un riconoscimento e non gli mai dedicato una mostra importante in una sede di prestigio. Sono molti gli amici in città che lo stimano e che lo invitano spesso ad incontri e piccoli eventi espositivi, ma un autore del suo livello dovrebbe avere una retrospettiva completa con un catalogo di pregio in una sede istituzionale.
Spazio Tangram, luglio 2020
Fotografi sulla Fotografia, ideato e curato da Luca Sorbo
Francesco Cito
con Michele Del Vecchio
riprese e montaggio Ludovico Brancaccio
www.ludovicobrancaccio.it
(*) esperto in storia e tecnica della fotografia
già docente Accademia di Belle Arti