di Luca Sorbo *
Nell’ambito della XVIII edizione della Settimana Europea di Fotografia, che ha luogo a Reggio Emilia ed è uno degli eventi più importanti a livello europeo ed internazionale, ha avuto luogo una mostra di particolare importanza. Il luogo dell’evento è il prestigioso Centro Studi ed Archivi della Comunicazione di Parma, fondato nel 1968 da Carlo Arturo Quintavalle. Lo CSAC ha collaborato con il festival presentando per la prima volta una mostra del fotogiornalista napoletano Antonio Sansone (Napoli 1929 – Faro Sabina 2008). Questa mostra è di particolare rilevanza, perché mette in evidenza una personalità della fotografia italiana che era stata quasi ignorata da tutti gli studiosi ed è quindi un contributo originale alla cultura fotografica italiana.
La storia della fotografia è un ambito di studio per nulla sistematizzato. Non è ancora ben chiaro quale sia il suo dominio di indagine, se debba essere lo studio degli autori più originali o lo studio di tutti coloro che, a vario titolo, hanno lavorato in modo significativo in questo settore. Anche all’interno di questi differenti e spesso complementari campi di indagine le lacune sono molte.
Il fotogiornalismo ha sicuramente avuto un ruolo molto importante nella società e nella cultura dell’Italia, soprattutto nel dopoguerra e prima della diffusione della televisione è stato il principale strumento per gli italiani per conoscere il mondo. I fotogiornalisti hanno documentato le grandi trasformazioni che la società ha vissuto e le loro testimonianze sono per noi preziose per comprendere l’evoluzione della nostra storia sociale.
Si sono contrapposte dagli anni Cinquanta del Novecento soprattutto due grandi scuole quella romana e quella milanese. La scuola romana di fotogiornalismo era, però, composta prevalentemente da napoletani, tra cui ricordiamo Caio Carrubba, Antonio e Nicola Sansone ed Ermanno Rea. Questi professionisti di altissimo livello culturale hanno lavorato molto all’estero e particolarmente nei paesi dell’Est, in quanto, essendo tutti politicamente vicini al Partito Comunista, erano favoriti nell’avere i permessi di accesso. Hanno pubblicato sui principali giornali internazionali, ma questo successo paradossalmente li ha penalizzati in Italia dove molti studiosi hanno sottovalutato il loro ruolo.
Nel 1957 Nicola Sansone fonda a Roma la Realfoto insieme anche a Plinio De Marinis e Franco Pinna. Poi si aggiungeranno il fratello Antonio, Calogero Cascio, Ermanno Rea e Pablo Volta. Lo scopo dell’agenzia è quello di rappresentare la realtà politica e sociale con un linguaggio nuovo e “dalla parte del popolo”, rifiutando i condizionamenti della grande editoria. Hanno come punto di riferimento la rivista americana LIFE e in Italia collaborano principalmente con Il Mondo di Pannunzio, che è stato il primo giornale a dare un ruolo importante alla fotografia. L’esperienza di questo gruppo di fotografi ha assunto una grande importanza, anche se non sempre viene ricordata con la dovuta attenzione.
Oggi finalmente lo CSAC di Parma per dare un proprio originale contributo al tema del festival 2023, EUROPE MATTERS, Visioni di un’identità inquieta, ha scelto di mettere in mostra nella Sala delle Colonne, presso l’Abbazia cistercense di Valserena, immagini vintage, cioè stampate dall’autore o da sue persone di fiducia, di alcuni reportage realizzati in Europa nel corso della sua lunga esperienza professionale. Sono reportage di un’Europa ancora in costruzione, la cui identità frammentata e inquieta è documentata attraverso manifestazioni di piazza, eventi ufficiali, celebrazioni religiose e scene di vita quotidiana. Il titolo dell’ esposizione è “Antonio Sansone. Rituali d’Europa”. I curatori Paolo Barbaro e Margherita Zazzero hanno anche posto delle cassettiere all’interno della sala dove sono conservati molti documenti inerenti i reportage, come lettere, tesserini, permessi, giornali dove le foto erano state pubblicate. La possibilità di consultare questo materiale è fondamentale per comprendere il contesto ed i percorsi che hanno guidato il reporter nelle sue scelte. Questo approccio è tipico dello CSAC che, seguendo gli insegnamenti di Quintavalle, cerca sempre di analizzare ogni oggetto conservato nella sua complessità, collocandolo all’interno di un processo comunicativo al fine di ricostruire un contesto culturale di fruizione e di produzione.
Purtroppo oggi si sta sempre più diffondendo l’abitudine di selezionare all’interno di archivi, anche di centinaia di migliaia di immagini, solo qualche centinaio di foto di forte impatto visivo stamparle nel modo più efficace e presentarle in grandi formati. Questo tipo di esposizioni, senza dubbio godibili da un punto di vista retinico, non fanno però comprendere quale sia stato il reale percorso dell’autore, quali siano state le sue scelte tecniche e stilistiche e quali siano stati i dubbi e i ripensamenti, sempre presenti anche negli autori più geniali. Solo un approccio filologico, rispettoso di tutti i documenti presenti in archivio, può far comprendere la particolarità di un determinato autore. Siamo spesso in presenza di una sorta di Photoshop mentale che hanno molti curatori, i quali cercano sempre di abbellire le immagini ritrovate e di nascondere i lavori meno riusciti. Questo, anche nelle migliori intenzioni, è sempre un tradimento e tende ad appiattire gli autori storici su un gusto contemporaneo, che incontra spesso il gusto del pubblico, decretando il successo delle mostre, ma non fa comprendere la vera personalità dei fotografi. Ormai vengono presentati quasi sempre gli stessi autori e quasi mai sono esposti i vintage e documenti originali, come, ad esempio, i provini a contatto, che sono preziosissimi per capire il modo di lavorare del fotografo. Il pubblico si sta abituando a queste mostre, pensando che non ci sia più niente da scoprire, quando, invece, soprattutto in Italia, la storia della fotografia è ancora da scrivere e molti sono gli autori interessanti da scoprire.
L’archivio che è stato acquisito nel 2003 da Paolo Barbaro e Claudia Cavatorta per conto dello CSAC è composto da 210000 tra negativi e provini a contatto, 1700 stampe vintage, 12.700 diapositive, registri originali, riviste, fascicoli di documentazione relativa all’attività svolta dal reporter dagli anni Cinquanta del Novecento.
La mostra sarà visitabile fino all’11 giugno ed è, a mio parere, uno dei principali eventi espositivi del 2023 in Italia, sia per l’interesse del materiale in visione, sia per la qualità del lavoro dei curatori e sia per la possibilità di visitare lo CSAC, scrigno di tesori e di saperi.
(*) esperto in storia e tecnica della fotografia
già docente Accademia di Belle Arti