di Luca Sorbo
ROMA – “In ogni quartiere particolare dovrebbe esserci un frammento di Università.”
Questa frase fa comprendere bene quale era l’approccio alla ricerca e all’insegnamento del professore Riccardo Dalisi, uno degli architetti ed artisti più geniali della seconda metà del Novecento.
Il MAXXI, nella galleria 4, a un anno dalla sua scomparsa a 90 anni, gli dedica un’importante retrospettiva dal titolo Radicalmente, allestita in maniera molto efficace dallo Studio Novembre, che consente al visitatore di immergersi nel mondo creativo del geniale architetto napoletano, nella sua visione del mondo e nelle sue opere che, anche a distanza di cinquant’anni, hanno tutta la loro forza dirompente.
La mostra, a cura di Gabriele Neri, è stata inaugurata il 10 novembre e sarà visitabile fino al 3 marzo.
Il percorso espositivo include inoltre il lavoro di ricerca che Vincenzo Castella ha sviluppato in collaborazione con NABA, Nuova Accademia di Belle Arti, insieme a un gruppo di giovani artisti visivi.
Possiamo individuare come punto di partenza della riflessione di Riccardo Dalisi la pubblicazione, nel 1970, del volume Architettura dell’imprevedibilità, edito dalla casa editrice Argalia di Urbino. In questo volume teorizza la possibilità di un’architettura povera, che si inspira alle teorie dell’architettura di partecipazione di Giancarlo De Carlo. Dalisi crede che sia utile per la progettazione creare delle situazioni di ascolto e di pratica sociale.
Dal 1971 al 1974 mette in atto al Rione Traiano di Napoli, un quartiere di forte degrado e criminalità, una sperimentazione delle sue tesi. Porta i suoi allievi ed invita, soprattutto i bambini, a disegnare e proporre idee per la costruzione di una scuola elementare che, però, non riuscì a realizzare. Il suo era un tentativo di trovare soluzioni socialmente accettabili alla febbre del cemento che contagiò l’Italia negli anni Settanta del Novecento. Le foto esposte che documentano questa esperienza sono di Mimmo Jodice.
Più fortunata fu la realizzazione di prodotti di artigianato che vide, tra gli altri oggetti, la nascita della famosa Sedia del Cece. Una bambina costruì una piccola sedia con legno di scarto ed una molletta per i panni ed al centro pose un legume, un cece. Dalisi chiese ai maggiori designer dell’epoca un disegno inspirato a questa opera. Aldo Rossi, Franco Purini, Giancarlo De Carlo, Paolo Portoghesi, Bruno Munari, Enzo Mari, Andy Warhol e Joseph Beuys risposero positivamente all’invito dando vita ad una straordinaria esperienza creativa che consentiva di far dialogare le classi più umili con i più celebrati designer. In questo esperimento si esaltava la dimensione collettiva della creatività, capovolgendo i concetti di autore e di opera. Questa esperienza dimostra anche la stima nazionale ed internazionale di cui godeva.
Nato a Potenza nel 1931, Riccardo Dalisi si laurea alla Federico II nel 1957 e nel 1964 con Pica Ciamarra e Michele Capobianco realizza la Borsa Merci di Napoli. È un architetto affermato, un docente universitario in carriera, potrebbe concentrarsi solo sul redditizio lavoro professionale. In lui, però, vi è una profonda esigenza interiore di comprendere quale è la metodologia più adatta per costruire edifici funzionali alle esigenze dei cittadini, soprattutto di quelli più emarginati. Appassionato di matematica pura e fisica sperimentale, comprende la necessità di un confronto con l’imperfezione della realtà per trovare soluzioni originali ed efficaci. La sua ricerca è profondamente legata alla temperie sociale della fine degli anni Sessanta del Novecento. Sicuramente è influenzato dalle teorie del teatro povero di Grotowski e dalle pratiche sociali di molti artisti dell’epoca. La sua particolarità, però, è che le sue sperimentazioni sono portate all’interno dell’istituzione universitaria, non contro, anche se molti dei suoi colleghi non hanno compreso subito la portata del suo fare, che appare privo di scopi ed improduttivo. Dalisi è sempre stato architetto e professore, non fu mai un ribelle, sempre a favore di un rinnovamento utile per tutti. Crede nella necessità per le grandi istituzioni di confrontarsi con la vita reale. Ritiene che il dialogo, anche con le classi più umili e disagiate, potesse arricchire la ricerca più raffinata ed avanzata.
Quando comprende la difficoltà di costruire un vero edificio, con i mezzi di cui può disporre, sposta la sua attenzione agli oggetti di artigianato. Riscopre la tradizione artigianale di Rua Catalana, che da tempo era in crisi, e collabora con gli artigiani e con l’azienda Alessi, dal 1979 al 1987, per una interpretazione della storica caffettiera napoletana. Nascono decine di prototipi ed un vero e proprio esercito di caffettiere animate, tutte in mostra al MAXXI. Con queste ricerche nel 1981 vince il suo primo compasso d’oro.
Le foto di molti suoi libri di designer sono state realizzate dall’amico e fotografo Sergio Riccio.
La ricerca di Dalisi usa una tecnica povera, materiali di riciclo, ma non è da confondere con l’Arte Povera teorizzata da Germano Celant, poiché la sua attenzione è concentrata su un’idea di decrescita, inspirata alle teorie di Victor Papanek e Serge Latouche, più che su un confronto con il mercato dell’arte e le contraddizioni. Poi, fondamentale nel suo metodo è sempre la partecipazione collettiva che mette radicalmente in crisi la figura dell’autore, che, al contrario, nell’Arte Povera è centrale.
Dalisi da designer diviene scultore trovando uno stile originalissimo e profondamente coerente con le sue teorie.
Nel 2014 vince il suo secondo compasso d’oro.
Il suo insegnamento, nella molteplicità del suo manifestarsi, è ancora vivo. Chiunque si interroghi su cosa sia la creatività, su come costruire un oggetto, un edificio, non può non tener conto delle sue sperimentazioni che sono state celebrate anche da importanti musei internazionali come il Centre Pompidou di Parigi.
Un artista, anche se lucano, profondamente napoletano, legato alle tradizioni della città, ma sempre capace di dare un respiro internazionale alle sue ricerche.