
di Flavio Pagano*
Il ‘Presunto innocente‘ di oggi è il Giro d’Italia. E il discorso è così serio che la mano ci trema nell’affrontarlo sulla carta. C’è stato un tragico evento mortale (non chiamiamolo incidente, perché forse una migliore manutenzione della strada avrebbe potuto evitarlo) appena qualche giorno fa a Ravello: un autobus è precipitato nel vuoto. Un salto di trenta metri. Morto sul colpo il conducente: un ragazzo di 29 anni. “Muor giovane colui che al cielo è caro”, recita una verso di una lirica greca amata da Giacomo Leopardi, e così è stato. La gente del luogo, Agerola in testa, e soprattutto i giovani, non accettano però questo verdetto del destino, crudele e ingiusto.
Possiamo accettare ancora di avere parapetti “di burro” come è stato detto? Possiamo tollerare strade in condizioni da dopoguerra? Quante anime devono salire al cielo, perché qualcuno si muova, in questo Sud e in questo Paese, l’Italia, maledetto dall’inerzia, che sprofonda nella mala burocrazia e nell’incapacità?
Domande atrocemente prive di risposta. Ma, se la risposta non viene dall’alto, dalla gente si leva un coro unanime di insofferenza e di protesta.
Passa il Giro? Non lo vogliamo, gridano i giovani di Agerola. Vogliamo piangere l’amico, il fratello, il figlio che non c’è più e si fatica ad accettare e a comprendere come questo sia possibile.
Raccogliamo la testimonianza di Antonella Marchese, consigliere comunale di opposizione a Furore e instancabile attivista che da anni lotta per la qualità del territorio.
“Nicola aveva la mia età. E come me viveva e lavorava in questa terra. Non senza sacrifici ha scelto di restare e portare avanti la storica azienda di famiglia. Disgraziatamente ha perso la vita in una stradina malmessa di questa stessa terra. È inaccettabile che si possa concludere la propria esistenza per l’incuria del territorio. Non ce ne capacitiamo – continua Antonella Marchese -. È altrettanto inaccettabile che nello stesso tratto di strada – ripristinato alla meglio e in tempi record- transitino, a distanza di pochi giorni dalla tragedia, i partecipanti di una manifestazione che dovrebbe portare giubilo e orgoglio per quello che rappresenta. Terribile è il ‘far finta di niente’, insopportabile è l’immagine di un’apparente normalità. Oggi, anche a nome del mio gruppo politico, ritengo sia doveroso dire che non modificare il percorso del Giro d’Italia è stato un’imperdonabile mancanza di rispetto per chi ha perso un figlio, un parente, un fidanzato, un amico. Dopodiché ai posteri ogni ardua sentenza”.
Nel regno dell‘indifferenza, l’unico barlume di speranza è negli amici di Nicola: niente e nessuno potrà restituircelo, ma ieri, nei loro volti commossi e affranti c’era l’infinito amore per lui mescolato di una sana rabbia per ciò che non doveva assolutamente succedere.
Questo sentimento si è tramutato in una straordinaria ‘cittadinanza attiva e reattiva’ che oggi impone loro di denunciare senza se e senza ma, l’assurda contraddizione della realtà in cui viviamo: che Italia è questa che sta girando?
“Per i Nicola che ci sono già stati e che non dovranno esserci – conclude Antonella Marchese – mi unisco a questo moto di protesta e rivendico insieme a loro il diritto al rispetto di un lutto collettivo e di futuro degno di un paese veramente civile”.
Parole di fuoco, che esprimono il dolore di tutti. The show must go on, dicono gli americani. E il Giro d’Italia passa e va… Ma, se lo show non sa fermarsi davanti a un ragazzo che ha perduto la vita, se il Giro non sa fermarsi per un minuto di silenzio in una curva della vita che si è tinta del colore del lutto, allora forse c’è davvero qualcosa che non va. Nel Paese, in noi, in questo modo di pensare la vita, che la onora e la tradisce al tempo stesso.
(*) scrittore