
di Floriana Schiano Moriello

Dalle spiagge di Pescara è arrivata direttamente sotto i portici di Bologna, in pieno centro, la famosa pizzetta di Trieste. Quella graziosa tonda di appena sedici centimetri, cotta in forno elettrico a 380° nel padellino, fa gola ai passanti di via Zamboni. Dorata, con cornicione leggermente pronunciato, croccante già al primo sguardo e al morso, ma ben soffice verso il centro. Saporita e sempre ben bilanciata negli ingredienti sia alla vista che al palato. Si presenta così questo concentrato di gusto dal nome, a mio avviso, poco simpatico. E sì, i diminutivi in -etta non li ho mai sopportati granché ma, in questo caso, devo ammetterlo, risulta calzante e efficace. Identifica bene la tipologia di pizza che è diventata simbolo della merenda pescarese ormai tanto apprezzata anche fuori dal suo luogo di origine.

Per di più la fortuna della pizzetta di Trieste, che registrerei proprio con questa precisa formula, è esempio di gastronomia veloce e di qualità. Non è affatto legata al fenomeno contemporaneo e modaiolo della cottura al padellino ma rappresenta un vero e proprio pezzo di storia che inizia, addirittura, nel secondo dopoguerra. Allora la signora Ciferni solcava le spiagge del vivace lungomare Matteotti per vendere pizzette e bombe alla crema preparate da suo marito in un forno nel cuore di Pescara. Cotta sin da allora nel padellino di ferro blu, la pizzetta nel 1958 è diventata il prodotto di punta dello stabilimento balneare Trieste sul lungomare Matteotti che, con le prime concessioni, fu assegnato proprio alla famiglia Ciferni e così la già popolare pizzetta divenne celebre come “la pizzetta di Trieste”.

Nell’ottobre scorso il simbolico disco è arrivato a Bologna, dove circa trenta farciture differenti sposano l’impasto realizzato con farine semi-integrali biologiche e lievitato generalmente da ventiquattro a quarantotto ore. Le materie prime per le pizze sono selezionate in giro per l’Italia, come le alici di Cetara di Armatore o le olive taggiasche di Calvi, ma spicca su tutti l’Abruzzo, da cui arrivano il mix di farine di Molino Grassi, l’olio extravergine biologico Corvino, i pomodori pelati Triveri e anche i latticini di Terrantica. E ancora il peperone dolce di Altino e il formaggio pecorino di Farindola, tra l’altro Presìdi Slow Food. Dall’Emilia Romagna, invece, arrivano, manco a dirlo, il prosciutto di Parma, il Parmigiano Reggiano e la mortadella Bidinelli. Gli stessi ingredienti farciscono anche i dischi preparati con farine senza glutine realizzati in uno spazio dedicato.

La sede bolognese, guidata direttamente da Riccardo Ciferni e Laila Di Carlo, insieme nella vita e nelle iniziative imprenditoriali, è diventata in pochi mesi dalla sua apertura un ritrovo per bolognesi ma anche per turisti e studenti alla ricerca di momenti di gusto. Qui è possibile assaporare il voluttuoso disco di pasta, unto al punto giusto, realizzato con la ricetta originale ideata da Gabriele Ciferni, papà di Riccardo. Il progetto, in espansione, guarda lontano ma si è già fatto apprezzare a Roma con il marchio Tonda, e poi a Senigallia, Fano e persino a New York e Dubai, oltre ai punti disseminati in Abruzzo.

Quattro minuti di cottura per una pizzetta che va bene da colazione a cena e per spuntini notturni nei fine settimana, comoda da mangiare piegata durante una passeggiata o piacevole da assaporare, magari scambiandosi gli spicchi farciti differentemente, comodamente seduti ai tavoli della sala superiore. Qui, in abbinamento, vengono proposte birre artigianali Almond e la nuova linea di vini della cantina Valle Reale di Popoli (PE), creata ad hoc da Gianni Sinesi, head sommelier del tristellato Casadonna Reale dell’abruzzese Niko Romito.
Trieste Pizza è certamente un innovativo concept adatto alla velocità dei tempi odierni ma riesce a mettere in risalto il carattere artigianale della produzione che conserva intatta, da quasi settant’anni, la ricetta originale ideata da Gabriele Ciferni, papà di Riccardo.