di Giovanna d’Elia*
“Io voglio che la Olivetti non sia solo una fabbrica, ma un modello, uno stile di vita.
Voglio che produca libertà e bellezza perché saranno loro, libertà e bellezza, a dirci come essere felici!”
(Adriano Olivetti)
Olivetti costruisce non solo una solida azienda ma anche un ideale di vita sociale, di lavoro, di imprenditoria, di “cultura aziendale” inedito nel panorama italiano. L’aspetto sicuramente più innovativo del suo pensiero è la considerazione della cultura come un elemento sostanziale del fare impresa, in grado di accompagnare e fondare lo stesso agire industriale. L’azione di Olivetti è caratterizzata infatti dalla precisa volontà di armonizzare funzionalità e bellezza, tecnica e cultura, valori spirituali e valori materiali e mettere tutto in relazione delle persone al centro.
Questa sinergia tra cultura e tecnica viene attuata nell’industria Olivetti fin dagli anni Quaranta del XX secolo, attraverso la collaborazione con letterati, intellettuali, artisti, visti come componente essenziale dello sviluppo aziendale, basato sulla regola del “principio delle terne” ovvero l’assunzione in azienda di una persona di formazione economico-legale e una persona di formazione umanistica accanto ad ogni nuovo tecnico o ingegnere.
Questo senso di appartenenza e di identità aziendale oggi sta assumendo forme e centralità differenti e se da un lato c’è sempre più una spinta al digitale dall’altro il Fattore Umano è strategico , centrale e di riposizionamento rispetto alle esigenze delle persone, dipendenti e del business stesso.
Il senso di appartenenza libera il potenziale dei dipendenti, incoraggia le sfide e stimola la creatività, la risoluzione dei problemi e l’innovazione.
Il senso di appartenenza fa bene al business ecco che le imprese incoraggiano le imprese ad adottare strategie di diversity and inclusion , sia per i temi ESG (ambientali, sociali e di governance) ma anche perché contare su un team diversificati amplifica la capacità di innovazione di un’organizzazione.
Quindi i dipendenti che avvertono un senso di appartenenza alla propria azienda hanno da quattro a otto volte maggiori probabilità di rimanere nella propria organizzazione.
Un errore che ancora molte aziende fanno è definire la strategia senza coinvolgere l’intera organizzazione nella stessa visione.
Nell’era della tecnologia digitali il fattore umano può ancora fare la differenza dove è necessario conciliare vita personale e lavorativa ascoltando i bisogni dei lavoratori
Questo emerge a seconda anche delle generazioni e delle esigenze e dei cambiamenti.
Contare su un team molto diversificati raddoppia la capacità di innovazione di un’organizzazione e combinare la diversità con l’inclusività può portare a quadruplicare i risultati.
E allora come poter migliorare e costruire un contesto di lavoro in cui si presta attenzione al clima interno, al welfare aziendale e alla tutela di aspetti come l’inclusione , la gender equality, la valutazione dei valori aziendali e del suo impatto nella società e sull’ambiente.
Mettere insieme generazioni e professionalità è fondamentale e con un azione di age managing valorizzare i giovani e i senior che con la loro esperienza , con il senso di appartenenza e di responsabilità che solitamente li caratterizza, possono dare una spinta all’attività.
Il loro sapere può diventare un valore aggiunto per tutte le aziende che cercano figure capaci di prendere decisioni in autonomia e risolvere criticità.
Mettere in dialogo e in ascolto le diverse generazioni presenti nelle aziende e nelle organizzazioni, viene facilitato da percorsi di formazione ad hoc, creati in maniera sartoriale e con metodologie esperienziali e di relazione come il Coaching per ruoli manageriali, il Counseling per relazioni di aiuto e di attività soft skills e il mentoring per rafforzare il legame e l’unicità stessa generazionale, con unico obiettivo, mettere al centro le persone e creare valore.
Mi viene da pensare a quanto il valore dell’esperienza di generazioni che si incontrano può essere unn po” come Nino che finalmente ha capito il suo valore nell’indossare con senso di appartenenza “la maglia numero sette”
Nino capì fin dal primo momento
L’allenatore sembrava contento
E allora mise il cuore dentro le scarpe
E corse più veloce del vento
Prese un pallone che sembrava stregato
Accanto al piede rimaneva incollato
Entrò nell’area tirò senza guardare
Ed il portiere lo fece passare
Ma Nino non aver paura di tirare un calcio di rigore
Non è mica da questi particolari
Che si giudica un giocatore
Un giocatore lo vedi dal coraggio
Dall’altruismo e dalla fantasia.
(*) HR Director Focus Consulting
Esperta Risorse Umane e Parità di Genere e Opportunità
DiversityEquityInclusion