
di Luca Sorbo*
“Lo sguardo è sfinito, le ferite aperte, eppure torna a battere, cerca di uscire da quel nero abisso in cui è precipitata.
Sussulta lentamente quel cuore dilaniato, che vuole tornare a vivere:
squarciare le tenebre, cancellare le ombre inquiete, recidere l'ala cupa della solitudine.
C'è un vuoto di pensieri che vagano a caso, ma cercano uno spiraglio, una luce.
Quella belva implacabile – la guerra – ti ha inghiottito nel suo gorgo nero,
ma i tuoi occhi implorano pietà, cercano una carezza.
Una nuova linfa, una nuova energia.
Dopo il Tramonto l'Alba.
Dopo Thanatos la Rinascita.
Sarajevo vuole vivere.”
Questa è la presentazione di Renato Orsini del suo reportage su Sarajevo. Immagini di grande intensità emotiva intrise di una forza evocativa che ci rende partecipi della tragedia in cui è stata coinvolta la città.
Il reportage oscilla sempre tra la necessità di mostrare e dare informazioni ed il tentativo di provare a comprendere il senso profondo degli eventi. Sarajevo è stata una tragedia per tutta l'Europa. La bellissima città in cui convivevano pacificamente tre etnie diverse con tre lingue ed alfabeti diversi diviene dopo la dissoluzione della Iugoslavia del maresciallo Tito in un inferno. Le tensioni sopite alla fine della Prima e della Seconda guerra mondiale riemergono e la città diviene il teatro di violenze e crudeltà tra le peggiori della storia dell'umanità. Nella notte tra il 5 e 6 aprile del 1992 Sarajevo fu messa sotto assedio dalla Serbia che attuò un piano sistematico di pulizia etnica. Città e villaggi furono aggrediti in modo sistematico. Prima venivano bombardati, poi entravano in azione i gruppi paramilitari che uccidevano i civili e stupravano le donne.
Renato nel dicembre del 2013 a circa venti anni dagli eventi visita la città e cerca le tracce della guerra e del dolore delle persone che l'hanno vissuta. I buchi delle pallottole sui muri, i palazzi sventrati dalle bombe, gli sguardi delle persone sono segni evidenti di quanto accaduto. Le immagini sono cupe, drammatiche danno subito un senso di incertezza, di angoscia, immediatamente impongono allo spettatore un'attenzione. Il visibile ci rimanda ad eventi che credevano non più possibili alle soglie del secondo millennio. La barbarie che alberga nell'uomo si può risvegliare in ogni momento e dare sfogo ai peggiori istinti.
Renato è una persona pacata, un napoletano anglosassone come lo sono stati tanti grandi intellettuali della città vissuti a Monte di Dio come lui e non è persona dal fare teatrale. Il suo è un immergersi discreto e rispettoso nella tragedia della popolazione di Sarajevo. Vive il senso civico del viaggiare per conoscere e capire e questo reportage è un suo dono a tutti noi per renderci partecipi delle emozioni che ha vissuto.
Viaggiare può essere un'esperienza ludica, il fuggire dal proprio presente per cercare il brivido del non conosciuto. Per Renato viaggiare è il tentativo di conoscere le possibilità dell'essere umano sia in positivo che in negativo per scoprire sé stesso, per comprendere il senso della vita.
Sarajevo è stato il precipitare di tutta la cultura europea, il fallimento della politica ed è ancora oggi un monito di quanto potrebbe accadere se non si curano ogni giorno le conquiste di civiltà che abbiamo raggiunto dopo la Seconda Guerra Mondiale.
“Quando nell'osteria dei Balcani si spengono le luci, gli ospiti impugnano il coltello”
Renato mi scrive che in questa frase c'è tutto il senso di quanto accaduto.
Forse significa che le tensioni erano solo sopite, che quando non c'è stata più la forte personalità di Tito sono ritornate. La riporto come me l'ha scritta Renato e lascio ad ognuno di voi la sua interpretazione.
La giuria del Pozzuoli Foto Festival ha motivato la vittoria con queste parole:
“Per aver saputo unire un luogo di sofferenza drammaticamente passato alla storia, con delle presenze evanescenti che lo vivono e lo attraversano sfiorandolo. Emerge dal racconto un linguaggio deciso e coerente al tempo stesso lirico ed onirico.”
Il progetto fotografico sarà presentato al Pozzuoli Foto Festival del 2024 e sarà sicuramente un nuovo momento di riflessione e di dibattito.
(*) esperto in storia e tecnica della fotografia
già docente Accademia di Belle Arti