ROMA – La Commissione Bilancio della Camera, nell'ambito dell'esame del dl 124/2023 recante disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione, per il rilancio dell'economia nelle aree del Mezzogiorno del Paese, nonché in materia di immigrazione, ha svolto audizioni con la Svimez, i rappresentanti di Cgil, Cisl, Uil, Ugl; Filippo Romano, prefetto di Agrigento; rappresentanti di Giuristi democratici, LasciateCIEntrare, Legal Team e del Tavolo Asilo e Immigrazione; Mauro Palma, presidente del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale; Irini Papanicolopulu, professoressa di diritto internazionale presso la Soas dell'Università di Londra e Paolo Bonetti, professore di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano-Bicocca.
Riceviamo e pubblichiamo il testo dell'audizione Svimez sul Decreto Sud.
In questa Audizione la SVIMEZ si concentra sull'analisi di due interventi previsti dal decreto-legge n. 124 recante “disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione, per il rilancio dell'economia nelle aree del Mezzogiorno del Paese, nonché in materia di immigrazione”. Il primo è la riforma della disciplina di programmazione e gestione del Fondo Sviluppo e Coesione (FSC) 2021-2027. Il secondo è l'introduzione della ZES (Zona economica speciale) Unica per il Mezzogiorno.
In questa sede di premessa, e prima di scendere ad analizzare i due interventi, va ricordato che, oltre a introdurre innovazioni profonde e potenzialmente ricche di conseguenze, essi vanno collocati nel più ampio processo di revisione delle politiche di coesione. Vi è, in particolare, la riorganizzazione, ancora in attesa di completamento, delle strutture tecniche nazionali chiamate ad accompagnare l'attuazione dei programmi di spesa dei fondi strutturali prevista dall'art. 50 del decreto-legge 24 febbraio 2023, n. 13 (convertito, con modificazioni, dalla legge 21 aprile 2023, n. 41).
Su un piano più generale, il filo conduttore dell'azione governativa sembra essere la ricerca di un maggiore coordinamento tra i diversi livelli di governo responsabili degli interventi. Più in particolare, si intende rafforzare tale coordinamento attraverso la concentrazione a livello centrale dei luoghi decisionali e attuativi, con l'obiettivo di valorizzare la complementarità finanziaria e strategica tra le diverse programmazioni con finalità di riequilibrio territoriale (politica di coesione, nazionale ed europea, e PNRR).
Per molti aspetti, siamo dunque di fronte a un nuovo, potenziale, punto di svolta delle politiche di sviluppo italiane, segnate, nella loro lunga e accidentata storia, da un continuo oscillare tra localismo e centralismo e da una conseguente crescente conflittualità tra centri e periferie amministrative. All'interno di questa dinamica, la direzione che sembra intrapresa è quella di un rafforzamento del presidio nazionale delle politiche aggiuntive.
Detto questo, va ribadito – in linea generale e come più volte sostenuto dalla SVIMEZ – che l'obiettivo del riequilibrio territoriale, al di là dell'ambito specifico delle politiche aggiuntive, dovrebbe vedere coinvolto l'intervento pubblico ordinario per imprese e famiglie. Una condizione, questa, che è messa a rischio dalle proposte di autonomia differenziata all'ordine del giorno del Parlamento che, a regime, vanificherebbero ogni sforzo di rendere più efficace l'azione delle politiche aggiuntive.
La riforma della disciplina di programmazione e gestione del Fondo Sviluppo e Coesione 2021-27
L'art. 1 del decreto-legge n. 124 ridefinisce i criteri e le modalità di impiego e di gestione delle risorse del FSC per la programmazione 2021-2027, introducendo lo strumento dell'Accordo per la coesione, in sostituzione dei Piani di sviluppo e coesione (PSC), ai fini dell'attuazione degli interventi finanziati con le risorse del Fondo.
La riforma si colloca in un quadro sul quale si era già intervenuti prima dell'avvio del PNRR in base a quanto previsto nel Piano Sud 2030. In particolare, l'art. 44 del decreto-legge n. 34 del 2019 introduceva lo strumento del PSC, in sostituzione dei molteplici documenti programmatori allora esistenti per l'utilizzo delle risorse del FSC dei cicli di programmazione 2000-2006, 2007-2013 e 2014-2020. La finalità di questo intervento era garantire una semplificazione nella governance del Fondo, attraverso una complessiva operazione di ricognizione delle risorse ancora non spese. Ad essa ha poi fatto seguito la riclassificazione dei numerosi documenti di programmazione preesistenti in un PSC per ciascuna Amministrazione centrale, Regione o Città metropolitana titolare di risorse ancora disponibili dai precedenti cicli di programmazione.
Il processo di riclassificazione si è così tradotto nell'adozione di 43 PSC (per un valore complessivo di 81,2 miliardi di euro), di cui 21 a titolarità delle Amministrazioni regionali e Province autonome (48,3 miliardi), 10 a titolarità delle Amministrazioni Centrali (30,5 miliardi), 12 a titolarità delle Città metropolitane (2,4 miliardi).
Questa attività di ridefinizione del quadro programmatorio ha avuto l'utilità di restituire organicità a programmazioni estremamente frammentarie. Tuttavia, come viene messo in evidenza dalle percentuali di avanzamento esposte in Tab. 1, rimane il noto problema della lentezza delle amministrazioni centrali e regionali nel tradurre gli stanziamenti in spesa: per il totale delle risorse risultano impegni per 40,7 miliardi (con una percentuale di avanzamento di circa il 50%) e pagamenti per 21,7 miliardi (26,7%).
Nell'attuale quadro, come delineatosi successivamente all'avvio del PNRR, la riforma prevista dal decreto-legge n. 124 si pone l'obiettivo di assicurare un utilizzo delle risorse del FSC 2021-2027 coerente con le politiche settoriali e di investimento previste nel PNRR, secondo principi di complementarità e addizionalità.
La riforma riguarda dunque la programmazione e gestione del nuovo ciclo di programmazione e risponde soprattutto alle esigenze di coordinamento maturate successivamente all'avvio del PNRR, rese ancor più cogenti alla luce delle criticità attuative del Piano e delle successive proposte di revisione, già oggetto dell'audizione SVIMEZ dinanzi agli Uffici di Presidenza delle Commissioni riunite 4a e 5a del Senato della Repubblica.
Dal punto di vista delle risorse, la Tab. 2 ricostruisce il quadro relativo al ciclo di programmazione 2021-2027 del FSC. Come si evince dalla Tabella, le risorse del Fondo ammontavano a 75,8 miliardi dopo il trasferimento di 15,6 miliardi destinato al finanziamento di iniziative progettuali inserite nel PNRR.
Successivamente, però, le risorse FSC sono state oggetto di ulteriori riduzioni per 14,8 miliardi a copertura di diverse disposizioni legislative di spesa, tra le quali, si ricordano la “Decontribuzione Sud” e il finanziamento dei crediti di imposta investimenti nel Mezzogiorno.
Con delibere CIPESS sono state inoltre previste ulteriori assegnazioni per complessivi 11 miliardi di euro, ai quali vanno aggiunti 1,8 miliardi di preallocazioni in attesa di successive delibere per l'assegnazione effettiva.
Va considerato, inoltre, che 6 miliardi sono al momento indisponibili perché utilizzati a copertura (temporanea) dei maggiori costi degli interventi PNRR per effetto degli incrementi inflazionistici (dl 50/2022). Si tratta di risorse che potrebbero liberarsi per effetto della ricognizione sui progetti della precedente programmazione FSC che non hanno ancora maturato obbligazioni giuridicamente vincolanti (dotati di progettazione esecutiva o con una procedura avviata di aggiudicazione dei lavori).
In definitiva, la disponibilità del FSC 2021-2027 ammontava a 42,2 miliardi prima che il CIPESS – con delibera del 3 agosto 2023 n. 25 – approvasse la “proposta di imputazione programmatica della quota regionale relativa al Fondo sviluppo e coesione 2021-2027” per complessivi 32,4 miliardi di euro (comprensivi di circa 3 miliardi già assegnati alle Regioni con precedenti delibere CIPESS e norme di legge).
Ad oggi risultano dunque ancora da allocare circa 13 miliardi, ai quali si potrebbero aggiungere i 6 miliardi al momento indisponibili.
È noto che l'utilizzo di tali risorse è vincolato al rispetto del riparto 80/20 a favore delle regioni meridionali. Si tratta di un vincolo di concentrazione territoriale che ne rende poco praticabile l'impiego a copertura del finanziamento degli interventi esclusi dal PNRR. In ogni caso, l'eventuale ricorso alle risorse FSC dovrebbe avvenire preservando la natura aggiuntiva degli investimenti finanziati dalla coesione nazionale. Va in definitiva scongiurato il rischio che le risorse del FSC svolgano per il PNRR, lo stesso ruolo di finanziamento sostitutivo troppe volte svolto in passato rispetto agli investimenti ordinari.
Più in generale, valgono le considerazioni più volte proposte dalla SVIMEZ a proposito della necessità di portare a sistema il coordinamento delle diverse programmazioni con finalità dirette o indirette di perequazione infrastrutturale, assicurando, al contempo, operatività a previsioni di riparto territoriale delle risorse troppo spesso non attuate. Ciò non per il rispetto fine a se stesso delle quote di spesa ma per garantire interventi commisurati ai fabbisogni delle regioni caratterizzate da più ampi gap infrastrutturali da colmare.
La ZES Unica per il Mezzogiorno
Le ZES sono state istituite nel 2017 (d.l. n. 91 del 20 giugno 2017) con lo scopo di ampliare e rafforzare la struttura produttiva del Mezzogiorno in zone geograficamente delimitate, che comprendessero almeno un porto collegato alla rete Trans Europea dei Trasporti (TEN-T).
Ad oggi, sul territorio meridionale sono presenti otto ZES: ZES Regione Campania; ZES Regione Calabria; ZES Ionica Interregionale nelle regioni Puglia e Basilicata; ZES Adriatica Interregionale nelle regioni Puglia e Molise; ZES Sicilia occidentale; ZES Sicilia orientale; ZES Regione Abruzzo, ZES Regione Sardegna.
L'operatività delle ZES, nonostante successivi interventi di carattere normativo e sul piano della struttura di governance, è risultata piuttosto modesta. Le ZES sono poi state inserite nel PNRR sia nell'ambito del piano delle riforme che in quello degli investimenti (d.l. 31 maggio 2021 n. 77).
La ZES Unica per il Mezzogiorno sostituirà le attuali otto a partire dal 1° gennaio 2024. Con la ZES Unica si passa da un'azione molto specifica mirata a determinate aree a un tentativo di operazione di sistema, estendendo a tutto il Sud i vantaggi legati alle ZES.
Così, tra gli incentivi finalizzati all'attrazione di investimenti un ruolo centrale è attribuito al credito di imposta che, a decorrere dal 1° gennaio 2024 e fino al 31 dicembre 2026, sarà concesso alle imprese che effettuano l'acquisizione di nuovi beni strumentali. Il credito d'imposta è commisurato alla quota del costo complessivo dei beni, nel limite massimo, per ciascun progetto di investimento, di 100 milioni di euro. La soglia minima degli investimenti ammissibili è stabilita in 200mila euro. L'individuazione di una soglia minima di ammissione, se da un lato esclude dai potenziali beneficiari in parte le piccole imprese, sembra rispondere all'obiettivo di incrementare la dimensione media di un apparato produttivo ancora troppo frammentato.
D'altra parte, rimane e si estende a tutto il Sud l'attenzione alla sburocratizzazione delle procedure amministrative e alla celerità nella concessione delle autorizzazioni, quali fattori di potenziale vantaggio per favorire l'insediamento delle attività produttive.
Data l'estensione a tutto il territorio meridionale, ci saranno importanti riflessi sul piano della governance con l'intento di semplificare e razionalizzare il coordinamento degli interventi.
In particolare, la governance politica con compiti di indirizzo, coordinamento, vigilanza e monitoraggio è affidata alla Cabina di Regia ZES interministeriale presieduta dal Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR, cui partecipano anche gli otto presidenti delle regioni meridionali.
Va segnalata la previsione nel decreto di un Piano Strategico, con durata triennale, che dovrà definire, in coerenza con il PNRR, la politica di sviluppo della ZES basata sull'individuazione dei settori da promuovere e di quelli da rafforzare, nel rispetto delle diverse specificità territoriali.
Sul piano operativo, invece, un ruolo centrale è affidato alla “Struttura di missione per la ZES” che cura, tra l'altro, l'istruttoria e svolge le funzioni di amministrazione per il rilascio dell'autorizzazione unica, coordina e attua le iniziative previste nel Piano Strategico della ZES, cura l'attrattività della ZES e le attività di comunicazione istituzionale e di pubblicità mediante il portale web della ZES unica. La Struttura di missione può assumere la funzione di stazione appaltante al fine di assicurare la rapida attuazione degli interventi del PNRR relativi all'infrastrutturazione della ZES unica. I Commissari straordinari cessano dal proprio incarico a decorrere dalla data fissata dal Decreto del Presidente del Consiglio che definirà l'organizzazione della Struttura di missione. Quest'ultima subentrerà in tutti i rapporti attivi e passivi assunti dai Commissari.
In linea generale, l'estensione a tutto il Mezzogiorno delle misure di incentivazione e delle procedure autorizzative semplificate rappresenta una forma di fiscalità compensativa orizzontale per gli investimenti al Sud. La ZES Unica presenta quindi indubbi vantaggi potenziali, ma rischia di produrre effetti limitati se non sarà pienamente integrata nelle politiche industriali nazionali e regionali e nelle più ampie strategie di sviluppo del Paese.
Saranno in particolare due aspetti a decretare il successo o il fallimento della ZES Unica: il primo riguarda la capacità della nuova governance di assicurare la semplificazione amministrativa alla base del disegno originario delle ZES. Il secondo dipende dalla capacità di recuperarne la finalità di strumento di politica industriale e infrastrutturale.
E così, sul primo punto specifica attenzione andrà attribuita alla verifica della capacità della struttura di missione nazionale di svolgere per l'intero territorio meridionale la funzione di sportello unico delle autorizzazioni. Una funzione che, considerato il numero elevato di progetti di investimento che perverrà, richiederà inevitabilmente un rapporto cooperativo con le amministrazioni locali senza disperdere il lavoro fin qui svolto dalle strutture commissariali. In una fase in cui è necessario accelerare le procedure di investimento per riavviare la crescita e lo sviluppo del Paese e della sua parte più debole, un cambio di strategia di questa portata può causare inevitabili rallentamenti nel passaggio delle competenze e incertezze negli operatori. È pertanto auspicabile un'accorta gestione della fase di transizione alla ZES Unica, anche al fine di non indebolire i processi di crescita faticosamente avviati nelle ZES regionali. In sintesi, l'introduzione di una governance nazionale guidata dalla Presidenza del Consiglio può essere l'occasione per rafforzare il coordinamento degli interventi e l'adozione di procedure più omogenee, superando i localismi e le frammentazioni che hanno caratterizzato le politiche di sviluppo degli ultimi decenni.
Per quanto riguarda, invece, la dimensione di politica industriale e infrastrutturale dello strumento, il successo della ZES Unica dipenderà dai contenuti del Piano Strategico che dovrà esaltare le specificità produttive, economiche e sociali dei territori. Non meno importante sarà l'individuazione dei settori prioritari nei quali favorire l'attrazione dei grandi investimenti necessari ad accrescere la competitività del sistema economico meridionale. In particolare, dovrebbero realizzarsi condizioni di effettivi legami funzionali e strategici con le principali infrastrutture, in particolare portuali, del Mezzogiorno. Alla luce di queste considerazioni, si possono evidenziare le seguenti condizioni alle quali il potenziale della ZES Unica può essere massimizzato: definire le priorità produttive e le specializzazioni strategiche sulle quali puntare; valorizzare il ruolo dei poli logistici del Sud; accompagnare lo sviluppo e la localizzazione di imprese innovative con politiche per la formazione e la valorizzazione del capitale umano; sostenere l'ampliamento e l'integrazione del sistema produttivo meridionale nelle filiere strategiche europee.